La Certosa di Pavia Gra-Car (Gratiarum Carthusia) è un monastero con annesso Santuario della Beata Vergine Maria Madre delle Grazie, situato nell'omonimo comune distante circa 8 km a Nord di Pavia. Il monumento, risalente al XIV secolo, venne edificato nel periodo tardo-gotico italiano.
Il 7 luglio 1866 il monastero fu dichiarato monumento nazionale italiano diventando così di proprietà del Regno d'Italia prima e dello Stato italiano in seguito. Sono posti sotto vincolo demaniale anche tutti i beni artistici ed ecclesiastici in esso contenuti. Gli edifici che fanno parte del complesso monumentale attualmente ospitano al loro interno la sede del Museo della Certosa di Pavia e la locale stazione dei Carabinieri.
In origine la posizione del monastero coincideva con il margine nord del Parco Visconteo del Castello di Pavia, di cui oggi resta solo una traccia nel Parco della Vernavola, a nord di Pavia, che non è più collegato al castello e alla Certosa. È possibile osservare la rappresentazione di questo parco sul bassorilievo "Consacrazione della Certosa" posto nel portale d’ingresso della chiesa della Certosa dove si vedono i confini delimitati dalle mura, i boschi, i corsi d’acqua e gli edifici (tra i quali sono riconoscibili i castelli di Mirabello e di Pavia).
La posizione era strategica: a metà strada tra Milano, capitale del ducato, e Pavia, la seconda città per importanza, dove il duca era cresciuto e dove aveva sede la corte, nel castello visconteo. Il luogo scelto per la fondazione era un bosco all'estremo nord dell'antico parco visconteo, un'area recintata che aveva una estensione di circa 22 km², che collegava il Castello Visconteo di Pavia alla zona adibita alla caccia riservata ai signori della Lombardia.
La costruzione della Certosa di Pavia fu iniziata dal Duca Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, che il 27 agosto 1396 poneva la prima pietra della Certosa, realizzando un progetto che derivava dal voto emesso sotto forma di testamento nell'anno 1390 dalla sua seconda moglie Caterina Visconti, figlia di Bernabò Visconti e di Regina della Scala. La prima gravidanza di Caterina Visconti andò male: una figlia era nata e morta nel giugno 1385.
All'approssimarsi di un nuovo parto l'8 gennaio 1390, desiderando la nascita di un figlio maschio, fece voto di costruire una Certosa presso Pavia se fosse sopravvissuta alla nuova per lei terribile esperienza. Nacque un bambino che però morì, ma Caterina si salvò e mantenne il voto.
Durante la prima fase dei lavori, i monaci risiedettero nell'antico castello di Torre del Mangano e nel Castello di Carpiano (o Grangia), uno dei tanti territori lasciati ai monaci da Gian Galeazzo, per poi occupare gli ambienti conventuali, i primi ad essere edificati. Gian Galeazzo Visconti donò alla Chiesa anche le cittadine di Binasco, Magenta, Boffalora e San Colombano, nel 1397 anche Selvanesco e Marcignago, e nel 1400 anche Vigano
Secondo l'ipotesi di Luca Beltrami i primi sostegni dei chiostri, in attesa di più dignitose soluzioni architettoniche, furono piloni quadrati in laterizio. Le funzioni religiose venivano provvisoriamente celebrate nel refettorio, l'unico ambiente dalle dimensioni adatte per accogliere l'intera comunità dei Certosini, fatta di monaci e fratelli conversi. La attuale struttura più grande è dovuta alle forti modifiche (1428-1462) di Guiniforte Solari, detto il Gobbo (in realtà l'interno del monastero contiene opere d'arte di ben quattro secoli, XV, XVI, XVII, XVIII secolo).
La chiesa, destinata a divenire mausoleo dinastico dei Duchi di Milano, era stata progettata con dimensioni superiori a quelle che erano state sinora realizzate, con una struttura a tre navate, che non era mai stata utilizzata dall'Ordine Certosino e fu edificata per ultima. La navata fu progettata in stile gotico, e la sua costruzione fu completata nel 1465. Tuttavia, l'influenza del primo Rinascimento era divenuta importante in Italia e il resto della chiesa, con le sue gallerie ad archi e i pinnacoli (inclusa la piccola cupola), e i chiostri furono riprogettati da Guiniforte Solari, che guidò i lavori tra il 1453 e il 1481, con dettagli in terracotta. In seguito, Giovanni Antonio Amadeo li continuò tra il 1481 e il 1499. Il 3 maggio 1497 la Chiesa venne consacrata, ma la parte inferiore della facciata fu completata solo nel 1507.
I monaci certosini che vi abitarono furono inizialmente dodici, in totale vita di clausura, e legati da un contratto che prevedeva l'uso di parte dei loro proventi (campi, terreni, rendite ecc.) per la costruzione del monastero stesso. Nel XVIII secolo il monastero diventò proprietario dei latifondi dei paesi vicini, quali Badile, Battuda, Bernate, Binasco, Boffalora, Borgarello, Carpiano, Carpignano, Milano, Giovenzano, Graffignana, Landriano, Magenta, Marcignago, Opera, Pairana, Pasturago, San Colombano, Torre del Mangano, Trezzano, Velezzo, Vidigulfo, Vigentino, Villamaggiore, Villanterio, Villareggio e Zeccone.
Nel 1560, il Priore Generale dei certosini tal Piero Sarde autorizzò l'installazione delle attrezzature idonee per la stampa di messali e di corali, ed in data 28 agosto invitò tutte le certose d'Italia a rifornirsi esclusivamente dei prodotti della nuova stamperia (il primo libro "Breviarium Carthusiensis" fu stampato nel 1561).
Nel 1565, con i vari ampliamenti architettonici quali la costruzione del chiostro grande, i certosini che vi abitarono passarono almeno al doppio di numero (24), da cui le 24 celle di preghiera grandi a due piani e provviste anche di piccolo giardino interno.
Il monastero di Santa Maria delle Grazie viene soppresso il giorno 16 dicembre 1782
I monaci certosini furono espulsi nel 1782 dall'imperatore Giuseppe II, che incamerò i beni di tutti gli ordini contemplativi dei suoi possedimenti.
Il monastero cistercense di Santa Maria delle Grazie viene istituito nel 1784, due anni dopo la soppressione del monastero certosino. Il monastero viene definitivamente soppresso nel 1798, quando il direttorio esecutivo della repubblica cisalpina, autorizzato dalla legge 19 fiorile anno VI, richiamò alla nazione i beni e gli effetti appartenenti ai cistercensi della Certosa di Pavia
Il monastero passò quindi nel 1798 ai carmelitani, subendo la violenta devastazione operata dalle truppe napoleoniche, che razziarono e distrussero alcune ricchezze artistiche. Nel 1810 venne infine chiuso, fino al 1843 quando i certosini rientrarono nel monastero.
Con la legge 3036 del 7 luglio 1866, il monastero fu dichiarato monumento nazionale italiano ed i beni ecclesiastici diventarono proprietà del Regno d'Italia, ma fino al 1880 alcuni certosini continuarono ad abitare il monastero.
Prima della Prima guerra mondiale iniziarono dei lavori di ristrutturazione. Il 9 ottobre 1930 papa Pio XI decise di riaffidare il luogo ai certosini.
Durante il fascismo, il monastero fu visitato una sola volta da Benito Mussolini, il 31 ottobre 1932.
Le cronache inoltre riportarono anche l'avvenimento del ritrovamento dei resti del cadavere dello stesso duce, avvolti in dei sacchi di tela, circa un anno dopo la sua fucilazione, il 12 agosto 1946, proprio dentro la Certosa.
L'anno successivo i certosini abbandonarono quindi la struttura, sia per mancanza di vocazioni sia per lo scandalo del ritrovamento del cadavere del duce.
Il monastero rimase chiuso fino al 1949, quando vi si insediarono nuovamente i carmelitani fino al 1961.
Dopo il Concilio Vaticano II, il Vaticano decise di riaffidare il monastero nuovamente ai cistercensi della congregazione Casamariensis (provenienti dall'Abbazia di Casamari), che vi si insediò il 10 ottobre 1968.
Oggi, la gestione è dei monaci cistercensi del Priorato della Beata Maria Vergine della Certosa Ticinese, sotto la guida del Priore Celestino Parente.
Qui svolgono vita monastica, occupandosi anche delle visite guidate ed alla vendita di articoli sacri e prodotti tipici.
Nei locali adiacenti il monastero si trova invece il Museo della Certosa di Pavia che, da maggio 2008 è invece gestito direttamente dalla Sovrintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici di Milano.
Come dentro la Chiesa, anche qui è possibile trovare delle opere tra le più famose del Rinascimento lombardo, per cui spiccano il Bergognone e il Vincenzo Foppa. Informazioni sulle visite guidate al Museo si possono avere contattando direttamente l'associazione PaviaMusei. Ulteriori fotografie del monumento sono visibili sul sito dei monaci Cistercensi; altre informazioni sugli orari di apertura e delle SS. Messe sono riportate sul sito della Pro Loco Certosa di Pavia
La facciata, realizzata sovrapponendo semplici rettangoli, è rivestita da decorazioni, tipico procedimento dell'architettura lombarda. Il portale è opera di collaborazione tra l'Amadeo e il suo allievo Benedetto Briosco (1501) ed è caratterizzato da colonne binate e bassorilievi con Storie della Certosa. Fra gli scultori attivi sulla facciata Cristoforo Mantegazza e Giovanni Antonio Amadeo.
La pianta della Certosa ha lo stesso impianto della Chiesa di Santa Maria del Carmine (Pavia), ma la supera in dimensioni in quanto dotata di una campata in più in corrispondenza del presbiterio e di ciascun braccio del transetto. Elemento originale del tracciato della navata è costituito da un terzo quadrato "diagonale" che si aggiunge al doppio quadrato di base della pianta. Con questo disegno sovrapposto, si ottiene il tracciato della stella a otto punte o ottogramma (in tedesco acht-uhr o acht-ort, otto ore o otto luoghi), che si ritrova effigiato dappertutto, come simbolo della Madonna delle Grazie e della Certosa, con la sigla Gra-Car, persino nelle piastrelle dei pavimenti.
L'altare maggiore è posto all'interno del presbiterio e, attualmente non è utilizzato per le celebrazioni religiose che si svolgono nella navata centrale, davanti alla cancellata. La navata del presbiterio è chiusa alla vista dei fedeli come nella tradizione delle Chiese Ortodosse ed è lungo il suo perimetro sino all'abside, interamente occupata dagli stalli lignei riservati al clero celebrante.
I materiali utilizzati per la costruzione è misto: i pilastri e le parti basse dei muri sono in pietra da taglio, cui si sovrappongono le parti alte e le volte in laterizio. La tecnica di costruzione delle volte è a crociera gotica. Le volte delle navate laterali risultano dalla combinazione di cinque spicchi di crociera e si aprono come "cuffie" verso lo spazio centrale.
La chiesa ha pianta a croce latina divisa in tre navate con abside e transetto, coperta da volte a crociera su archi a sesto acuto, ispirata, seppure in scala ridotta, alle proporzioni del Duomo di Milano.
Le volte esapartite sono dipinte alternativamente con motivi geometrici e con un cielo stellato. Singolari sono le terminazioni dei transetti e della cappella maggiore, costituiti da cappelle a pianta quadrata chiuse su tre lati da absidi semicircolari, secondo una soluzione trilobata di probabile ispirazione classica.
La prima soluzione della facciata, più sobria e di forme genuinamente gotiche, progettata da Boniforte Solari, è visibile in un affresco di Bergognone. Sono presenti opere realizzate in materiale ligneo intagliato e intarsiato: i paliotti posti sopra degli altari delle cappelle poste sui lati della navata centrale e i quarantadue stalli lignei dei monaci, posti su tre lati del perimetro del presbiterio, decorati con immagini sacre intagliate ed intarsiate su disegni del Bergognone.
All'interno si segnalano alcune opere pittoriche dello stesso Bergognone, come la pala di Sant'Ambrogio (1490), quella di San Siro (1491) e la Crocifissione (1490).
Altre pale dello stesso artista sono ora disperse tra musei e collezioni private: si segnalano qui il trittico con i Santi Cristoforo e Giorgio, ora a Budapest, la pala delle due Ss. Caterine (1490) circa; Londra, National Gallery) e il Cristo portacroce e certosini della Pinacoteca Malaspina di Pavia (1493 circa).
La chiesa contiene numerose altre opere d'arte, tra cui il Padre Eterno, unico pannello rimasto in Certosa del polittico di Perugino, pale del Cerano, del Morazzone, del Guercino, di Francesco Cairo e, nel presbiterio, un ciclo di affreschi di Daniele Crespi.
Nell'abside di destra del transetto è collocato un affresco di Bergognone con Gian Galeazzo Visconti presenta alla vergine il modello della Certosa tra Filippo Maria Visconti, Galeazzo Maria Sforza e Gian Galeazzo Sforza, eseguito tra il 1490-1495.
Altri affreschi (oculi con santi e profeti) si devono ad un gruppo di ignoti maestri di ascendenza bramantesca, tra cui il giovanissimo Bernardo Zenale. Nell'abside di sinistra un altro affresco di Bergognone con l'Incoronazione di Maria tra Francesco Sforza e Ludovico il Moro, con cui quest'ultimo voleva celebrare la propria successione dinastica, ottenuta non senza polemiche dopo la morte del nipote Gian Galeazzo Sforza.
Decorazioni simili, opera degli stessi scultori, sono presenti anche nel chiostro grande, lungo circa 125 metri e largo circa 100. In origine le celle erano 23. Interventi strutturali nel 1514 ne aumenteranno il numero, che passarono a 36. Oggi si affacciano sul chiostro grande 24 celle o casette, abitazioni dei monaci, ognuna costituita da tre stanze e un giardino. Di fianco all'ingresso delle celle, siglate da lettere dell'alfabeto, è collocata una piccola apertura entro cui il monaco riceveva il suo pasto giornaliero nei giorni feriali, in cui era prescritta la solitudine. Per i pasti comunitari, ammessi solo nei giorni festivi, ci si riuniva nel refettorio. Le colonne delle arcate, decorate da elaborate ghiere in cotto, con tondi e statue di santi, profeti ed angeli, sono alternativamente in marmo bianco e marmo rosa di Verona.
Sono, invece, scomparsi i dipinti con profetis [...] et certis altris figuris, che ornavano un tempo il chiostro, per cui Vincenzo Foppa fu pagato nel 1463.
La cosiddetta Sagrestia Nuova, l'antica sala capitolare, contiene un ciclo di affreschi con colori vivaci dei fratelli Sorri, tardi esponenti del manierismo senese. Alle pareti sono appesi dipinti di artisti come Francesco Cairo, Camillo Procaccini, il Passignano e Giulio Cesare Procaccini. Da ricordare anche, sempre nella Sacrestia Nuova, la pala d'altare di Andrea Solario (1524), terminata cinquant'anni dopo da Bernardino Campi. Va ricordato anche il grande refettorio, che nei primi anni del cantiere fu utilizzato come chiesa, e che conserva un affresco con l´Ultima Cena (1567), opera di Ottavio Semino e, nella volta una Madonna con Bambino (completata da Profeti nelle lunette) di Bergognone.
L'antica Foresteria, edificata tra il 1616 ed il 1667, è nota anche come Palazzo Ducale ed è opera di Francesco Maria Richino. Negli ambienti interni vi è una gipsoteca che custodisce le copie in gesso di varie sculture ed oggetti dei Visconti. Oltre alla presenza di calchi e frammenti scultorei provenienti dalla Certosa, si segnalano alcuni ambienti affrescati (come lo Studiolo e l'Oratorio del Priore) e dipinti di Vincenzo Campi (lo splendido Cristo inchiodato alla croce), Bernardino Campi, Bartolomeo Montagna, il Bergognone, Bernardino Luini.
Sul retro della chiesa un alto muro di cinta delimita i terreni dove vengono coltivate erbe medicinali. In questo spazio, dietro l'abside, si trova anche una grande peschiera in marmo decorato che in passato serviva ai monaci per allevare pesci d'acqua dolce ed a conservarvi quelli pescati nei canali circostanti.
Fonte dei testi: Wikipedia
martedì 30 luglio 2013
lunedì 29 luglio 2013
Il Monferrato Alessandrino
Il territorio della provincia di Alessandria è per 3/4 montuoso o collinare. A nord il basso Monferrato si caratterizza per una immensa distesa di colline del Monferrato e valli in cui scorrono il fiume Po e il Tanaro. Al centro è situata una fertile pianura attraversata dal Tanaro, dal Bormida e dai loro affluenti. A sud-ovest ancora le colline della Val Bormida, della Val d'Erro e della Val d'Orba, e della val Lemme che si congiungono con i monti dell'Appennino Ligure. A sud-est le zone collinari del novese e del tortonese, con le valli dello Scrivia e dei suoi affluenti, in primis la val Borbera e la valle Spinti costituiscono le estreme propaggini dell'Appennino Ligure, sui quali la provincia confina con quella di Genova. Poco lontano dal confine con la Lombardia scorre il Curone che divide la pianura alessandrina-tortonese dall'Oltrepò Pavese; inoltre è delimitata brevemente dallo Staffora. Il punto più elevato è il Monte Ebro che raggiunge i 1.701 m, il meno elevato il comune di Molino dei Torti che si trova a 76 m d'altezza.
Giarole (Giaròli in piemontese) è un comune di 701 abitanti della provincia di Alessandria. È sede del castello Sannazzaro, voluto da Federico Barbarossa nel XII secolo. Trasformato in residenza di campagna (1854) in stile neogotico e neorinascimentale, conserva la cappella con una pala del Moncalvo. Il maniero fa parte del sistema dei "Castelli Aperti" del Basso Piemonte.
Vi è una probabile continuità insediativa tra il nucleo più antico di Mirabello, il «recinto», che sorge su un modesto rilievo al centro di un avvallamento delimitato dai torrenti Garavalde e Campostrina, e il luogo fortificato designato in un diploma imperiale del 1083 come «castellum» di Mirabello. All’interno dello spazio insediativo originario, è ipotizzabile che con il tempo si sia determinata una distinzione tra dimora signorile e un più ampio spazio fortificato destinato a ospitare la popolazione, ossia tra «castrum» e «receptum». Nelle fonti notarili e cronachistiche dei secoli XVI e XVII, l’uso dei termini «receptum» e «recinto» per indicare un nucleo centrale ben individuato del villaggio appare in ogni caso largamente affermato (Sergi 1986, pp. 400-401). A differenza delle fonti odierne, le fonti antiche documentano un popolamento articolato in numerosi nuclei insediativi.
La Consegna di bocche umane e bestiami redatta nel 1734, ad esempio, menziona, in un ordine che corrisponde a quello adottato nello spostarsi di casa in casa per ricevere le dichiarazioni dei capifamiglia «consegnanti» le seguenti «contrade»: Piano, Balestra, Pero, Chioso, Fittaria, Motta, Barbacaneva, Ponte dei Bai, Recinto, Peschiera, Rovere, Sant’Orsola, Barbacana, Borgonovo, Martina, Cascine del Follone, Ronco, Cortella, Nespolo, Colombaro.
Conzano (Consan in piemontese) è un comune di 1.004 abitanti della provincia di Alessandria. Nel corso del Novecento numerosi Conzanesi sono emigrati in Australia, soprattutto nel Queensland. La piazza principale del paese, dove è situato il Municipio. è stata denominata Piazza Australia per ricordare l'emigrazione dei Conzanesi . Di particolare rilievo artistico è Villa Vidua, donata dal conte Carlo Vidua, viaggiatore ed esploratore del XIX secolo. Risalente al XVIII secolo, ha in prospetto principale tre ordini di logge ed è dotata di una Stanza dei cinesi. Ospita il Centro Culturale Fondazione Enrico Colombotto Rosso ed è inserita nel sistema dei "Castelli Aperti" del Basso Piemonte.
Camagna Monferrato (Camagna in piemontese) è un comune di 543 abitanti della provincia di Alessandria. È un centro di origine longobarda. Il nome deriva da "Ca' Magna", cioè "casa grande". La Chiesa Parrochiale, ricostruita più volte, venne eretta infine, tra il 1885 ed il 1890. Si può ammirare la monumentale cupola che sovrasta maestosa gran parte del Monferrato Casalese.
Si presenta col suo aspetto ottocentesco, con abside, transetti e cupola dovuti all'architetto Caselli di Fubine. In stile romanico il campanile rappresenta, invece, la parte più antica della chiesa, benché sia stato sopraelevato nel settecento. All'interno, sopra la porta d'ingresso, c'è una grande pala di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, che raffigura la SS. Trinità con la Vergine e San Giuseppe. La dedica della chiesa a Sant'Eusebio, vescovo di Vercelli, sottolinea la sua originaria appartenenza a quella diocesi e ne data la probabile origine al periodo in cui iniziò a diffondersi il culto di quel Santo.
Lu (Lu in piemontese, pronuncia IPA /ly/), noto anche come Lu Monferrato, è un comune italiano di 1.212 abitanti in provincia di Alessandria. Si trova nel Basso Monferrato Casalese e occupa una superficie di 2170 ettari. Dal punto di vista geografico, Lu è al centro di due triangoli: a circa 20 chilometri da Alessandria, Casale Monferrato e Asti e a circa 100 chilometri da Torino, Milano e Genova.
La preistoria di Lu deve essere ricercata lungo il corso del torrente Grana, dove sorgeva (secc. I-IV) la Villa Romana dei Metilii (da cui deriverebbe il nome Mediliano). In questa zona è stata rinvenuta un'area funeraria paleocristiana (secc. V-VIII) da cui è emersa la più antica epigrafe cristiana tra quelle riaffiorate nel Piemonte meridionale. Recenti studi archeologici hanno sottolineato l'importanza della pieve carolingia di San Giovanni di Mediliano (secc. IX-X). In quella stessa zona, secondo la tradizione, avvenne il miracolo del campo di grano maturo in gennaio: da allora il vescovo martire san Valerio è diventato patrono del paese.
Le vicende storiche di Lu sono le stesse dell'intero Monferrato Casalese: insediamenti celtici, romani, franchi, seguiti poi dal dominio degli Aleramici, dei Paleologi, dei Gonzaga, dei Savoia. La prima attestazione del paese è del 1028, dove compare con il nome di Lugo. L'attuale paese di Lu nasce come curtis (azienda agricola organizzata) nei secoli XI-XII sul più alto dei colli circostanti, successivamente (sec. XIII) diventa un vero e proprio castrum (deposito agricolo e baluardo militare) e infine (sec. XIII) un borgo con piazze, rioni e chiese (San Pietro, San Nazario, San Giacomo), il tutto racchiuso da un'ampia cinta muraria. Per la sua posizione strategica (la più alta collina del basso Monferrato Casalese e la posizione di guardia rispetto alla pianura alessandrina) fu possesso ambìto dai vari nemici che si affrontarono su queste terre, provocando spesso distruzioni e miseria (come il conflitto tra Paleologi e Marchese di Saluzzo nel Trecento, ed il conflitto franco-asburgico nel Cinquecento). Nonostante le distruzioni dei vari predoni (antichi e moderni), la struttura urbana si è mantenuta abbastanza integra fino ai giorni nostri, e dà modo di riconoscere strade, palazzi, contrade e chiese citate nei documenti antichi.
Il nome di LU ha dato luogo a una serie di tradizioni con cui si è tentato di giustificare un nome così strano (LV come Lega Quinta, Legio Quinta, 55º miglio ecc.). L'analisi storica, toponomastica e linguistica è ormai giunta alla conclusione che il nome di LU derivi dalla contrazione di LUCUS, termine latino con cui i Romani chiamavano genericamente i boschi sacri alle divinità, che spesso racchiudevano un tempietto-sacrario dedicato agli dèi. Nei primi documenti storici, per fare riferimento alla collina su cui sorgeva l'attuale Lu si fa riferimento a nomi come LUGO, CASTRUM LUGI, LUH, LUCO, LUNO. Quindi è molto probabile che LU sia una contrazione di questi nomi. Che da LUCUS derivi LU non deve apparire strano, come ha dimostrato Franco Zaio, come normale evoluzione del suono latino nel suono piemontese (e come confermò anche Camillo Brero, appassionato cultore del dialetto piemontese). Quindi, a scanso di equivoci, LU deriva da LUCUS, da un “boschetto sacro” che doveva essere anche “molto illuminato”.
Fonte dei testi: Wikipedia e Portale del Comune di Mirabello Monferrato
Giarole (Giaròli in piemontese) è un comune di 701 abitanti della provincia di Alessandria. È sede del castello Sannazzaro, voluto da Federico Barbarossa nel XII secolo. Trasformato in residenza di campagna (1854) in stile neogotico e neorinascimentale, conserva la cappella con una pala del Moncalvo. Il maniero fa parte del sistema dei "Castelli Aperti" del Basso Piemonte.
Vi è una probabile continuità insediativa tra il nucleo più antico di Mirabello, il «recinto», che sorge su un modesto rilievo al centro di un avvallamento delimitato dai torrenti Garavalde e Campostrina, e il luogo fortificato designato in un diploma imperiale del 1083 come «castellum» di Mirabello. All’interno dello spazio insediativo originario, è ipotizzabile che con il tempo si sia determinata una distinzione tra dimora signorile e un più ampio spazio fortificato destinato a ospitare la popolazione, ossia tra «castrum» e «receptum». Nelle fonti notarili e cronachistiche dei secoli XVI e XVII, l’uso dei termini «receptum» e «recinto» per indicare un nucleo centrale ben individuato del villaggio appare in ogni caso largamente affermato (Sergi 1986, pp. 400-401). A differenza delle fonti odierne, le fonti antiche documentano un popolamento articolato in numerosi nuclei insediativi.
La Consegna di bocche umane e bestiami redatta nel 1734, ad esempio, menziona, in un ordine che corrisponde a quello adottato nello spostarsi di casa in casa per ricevere le dichiarazioni dei capifamiglia «consegnanti» le seguenti «contrade»: Piano, Balestra, Pero, Chioso, Fittaria, Motta, Barbacaneva, Ponte dei Bai, Recinto, Peschiera, Rovere, Sant’Orsola, Barbacana, Borgonovo, Martina, Cascine del Follone, Ronco, Cortella, Nespolo, Colombaro.
Conzano (Consan in piemontese) è un comune di 1.004 abitanti della provincia di Alessandria. Nel corso del Novecento numerosi Conzanesi sono emigrati in Australia, soprattutto nel Queensland. La piazza principale del paese, dove è situato il Municipio. è stata denominata Piazza Australia per ricordare l'emigrazione dei Conzanesi . Di particolare rilievo artistico è Villa Vidua, donata dal conte Carlo Vidua, viaggiatore ed esploratore del XIX secolo. Risalente al XVIII secolo, ha in prospetto principale tre ordini di logge ed è dotata di una Stanza dei cinesi. Ospita il Centro Culturale Fondazione Enrico Colombotto Rosso ed è inserita nel sistema dei "Castelli Aperti" del Basso Piemonte.
Camagna Monferrato (Camagna in piemontese) è un comune di 543 abitanti della provincia di Alessandria. È un centro di origine longobarda. Il nome deriva da "Ca' Magna", cioè "casa grande". La Chiesa Parrochiale, ricostruita più volte, venne eretta infine, tra il 1885 ed il 1890. Si può ammirare la monumentale cupola che sovrasta maestosa gran parte del Monferrato Casalese.
Si presenta col suo aspetto ottocentesco, con abside, transetti e cupola dovuti all'architetto Caselli di Fubine. In stile romanico il campanile rappresenta, invece, la parte più antica della chiesa, benché sia stato sopraelevato nel settecento. All'interno, sopra la porta d'ingresso, c'è una grande pala di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, che raffigura la SS. Trinità con la Vergine e San Giuseppe. La dedica della chiesa a Sant'Eusebio, vescovo di Vercelli, sottolinea la sua originaria appartenenza a quella diocesi e ne data la probabile origine al periodo in cui iniziò a diffondersi il culto di quel Santo.
Lu (Lu in piemontese, pronuncia IPA /ly/), noto anche come Lu Monferrato, è un comune italiano di 1.212 abitanti in provincia di Alessandria. Si trova nel Basso Monferrato Casalese e occupa una superficie di 2170 ettari. Dal punto di vista geografico, Lu è al centro di due triangoli: a circa 20 chilometri da Alessandria, Casale Monferrato e Asti e a circa 100 chilometri da Torino, Milano e Genova.
La preistoria di Lu deve essere ricercata lungo il corso del torrente Grana, dove sorgeva (secc. I-IV) la Villa Romana dei Metilii (da cui deriverebbe il nome Mediliano). In questa zona è stata rinvenuta un'area funeraria paleocristiana (secc. V-VIII) da cui è emersa la più antica epigrafe cristiana tra quelle riaffiorate nel Piemonte meridionale. Recenti studi archeologici hanno sottolineato l'importanza della pieve carolingia di San Giovanni di Mediliano (secc. IX-X). In quella stessa zona, secondo la tradizione, avvenne il miracolo del campo di grano maturo in gennaio: da allora il vescovo martire san Valerio è diventato patrono del paese.
Le vicende storiche di Lu sono le stesse dell'intero Monferrato Casalese: insediamenti celtici, romani, franchi, seguiti poi dal dominio degli Aleramici, dei Paleologi, dei Gonzaga, dei Savoia. La prima attestazione del paese è del 1028, dove compare con il nome di Lugo. L'attuale paese di Lu nasce come curtis (azienda agricola organizzata) nei secoli XI-XII sul più alto dei colli circostanti, successivamente (sec. XIII) diventa un vero e proprio castrum (deposito agricolo e baluardo militare) e infine (sec. XIII) un borgo con piazze, rioni e chiese (San Pietro, San Nazario, San Giacomo), il tutto racchiuso da un'ampia cinta muraria. Per la sua posizione strategica (la più alta collina del basso Monferrato Casalese e la posizione di guardia rispetto alla pianura alessandrina) fu possesso ambìto dai vari nemici che si affrontarono su queste terre, provocando spesso distruzioni e miseria (come il conflitto tra Paleologi e Marchese di Saluzzo nel Trecento, ed il conflitto franco-asburgico nel Cinquecento). Nonostante le distruzioni dei vari predoni (antichi e moderni), la struttura urbana si è mantenuta abbastanza integra fino ai giorni nostri, e dà modo di riconoscere strade, palazzi, contrade e chiese citate nei documenti antichi.
Il nome di LU ha dato luogo a una serie di tradizioni con cui si è tentato di giustificare un nome così strano (LV come Lega Quinta, Legio Quinta, 55º miglio ecc.). L'analisi storica, toponomastica e linguistica è ormai giunta alla conclusione che il nome di LU derivi dalla contrazione di LUCUS, termine latino con cui i Romani chiamavano genericamente i boschi sacri alle divinità, che spesso racchiudevano un tempietto-sacrario dedicato agli dèi. Nei primi documenti storici, per fare riferimento alla collina su cui sorgeva l'attuale Lu si fa riferimento a nomi come LUGO, CASTRUM LUGI, LUH, LUCO, LUNO. Quindi è molto probabile che LU sia una contrazione di questi nomi. Che da LUCUS derivi LU non deve apparire strano, come ha dimostrato Franco Zaio, come normale evoluzione del suono latino nel suono piemontese (e come confermò anche Camillo Brero, appassionato cultore del dialetto piemontese). Quindi, a scanso di equivoci, LU deriva da LUCUS, da un “boschetto sacro” che doveva essere anche “molto illuminato”.
Fonte dei testi: Wikipedia e Portale del Comune di Mirabello Monferrato
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